"Se cercate un film in cui non esplodono bombe ma emozioni, non si infligge dolore ma si guarisce, e se volete assistere a una storia americana popolata da gente semplice, dai volti bellissimi, che prende decisioni complesse in nome della tolleranza, correte a vedere Mi chiamano Radio" (Francesco Alò, Il Messaggero 14/05/2004). Si tratta della vera storia di James Kennedy, ragazzo nero handicappato mentale, detto "Radio" per la sua mania di collezionare apparecchi radio. L'allenatore della locale squadra di football americano si interessa al ragazzo semplicemente perchè "gli sembra giusto", integrandolo alla vita della squadra secondo le sue capacità limitate. Non mancano pregiudizi e cattiverie, sia da parte di giovani che di adulti, che considerano la presenza di Radio un "disturbo", un'anomalia. Coach Jones (l'allenatore), con perseveranza e sfidando i pregiudizi, riuscirà a scuotere i benpensanti della piccola cittadina del sud per aiutarli a superare le loro paure. Anzi arriverà a far capire che "è molto più quello che riceviamo da una persona così, che quello che diamo".
Un film eccellente per dialogare su pregiudizi, esclusione e sul delicato equilibrio che ciascuno deve trovare tra vita pubblica e impegni famigliari.
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