La separazione del Pakistan dall'India nel 1947 fu un dramma per milioni di famiglie costrette a migrare. Attraverso il dramma di Aisha, il film ci racconta lo sviluppo del fondamentalismo islamico in un pacifico, piccolo villaggio. La donna, dopo essere rimasta vedova, fa del suo meglio per educare il figlio Salim. Quest'ultimo si lascia influenzare da un gruppo di attivisti integralisti islamici. L'ansia della donna non viene però solo dalla brutta piega che prende Salim, ma da ricordi molto vivi di quand'era ragazza, al momento della separazione (fatti suggeriti con efficaci flashbacks). La visita al villaggio di un gruppo di pellegrini Sikhs complica ancora i rapporti tra la pacifica popolazione locale e i giovani fanatici islamisti venuti da fuori. Il tocco della regista, lei stessa pakistana, dà un tono particolarmente genuino al racconto e rende delle atmosfere familiari a chi è passato, almeno brevemente, dal subcontinente indiano. Anche se il film non è un capolavoro, resta un'opera interessante e molto valida per un dialogo sulla tolleranza, religiosa e non.